3ème Millénaire n.87 – Traduzione della dr.ssa Luciana
Scalabrini
D.
Considerate il corpo
come un aiuto o un impedimento per una pratica?
R. Il corpo è un
aiuto e un impedimento a seconda dei casi. Quando la mente, che costituisce con
il sentimento e il corpo la prima trinità nell’essere umano, non è attivamente
impiegata a ricordare all’aspirante lo scopo della sua ricerca spirituale, è
allora inevitabilmente il suo corpo che lo domina e utilizza la sua mente per
ottenere tutto ciò che le aggrada e sfuggire a ciò che non è gradevole, per
soddisfare i suoi desideri ( che non smettono di cambiare secondo le
circostanze) e per assicurarsi la sopravvivenza.
Il ricercatore non può che restare identificato con l’aspetto
fisico della sua natura (che per ignoranza considera come se stesso) e, di
conseguenza, senza essere capace di realizzarlo, ne resta schiavo.
Questo aspetto dell’essere umano non cerca che di
appropriarsi di tutto ciò che desidera esteriormente, senza riflettere sulla
conseguenza delle sue azioni, che si rivelano il più delle volte dannose, sia
al proprio essere che a quello degli altri.
L’aspirante ha l’illusione di essere lui a usare la mente,
ma in realtà i suoi pensieri sono a sua insaputa manipolati dal corpo e
influenzati da ciò che lui detta e vuole o non vuole in quel momento. Non è che
quando la mente del ricercatore comincia, a seguito di una pratica spirituale
seria, a risvegliarsi sufficientemente per fargli comprendere il dramma della
sua situazione che il suo sentire sarà stimolato e agirà sul suo corpo, in modo
che questo possa diventare uno strumento per ciò che tenta di realizzare e non
un intralcio.
Infatti l’essere umano ha bisogno di abitare il suo
involucro corporeo per acquistare una certa conoscenza di sé, della sia origine
e della creazione, che altrimenti gli sarebbe impossibile. In più, le
sensazioni corporee rappresentano un supporto essenziale per permettere
all’aspirante di stare nel presente, non solo durante le pratiche di meditazione,
ma anche durante tutte le attività della vita esteriore. Realizza così a qual
punto ha bisogno dell’aspetto fisico del suo essere e non solo della mente e
del sentimento, se vuole raggiungere un giorno lo scopo della sua ricerca.
D.
Potete parlarci
dell’immortalità?
R.
Contrariamente a quanto
si pensa di solito, l’immortalità non è qualcosa che va da sé, alla quale
l’essere umano ha diritto e che gli è dovuto
L’immortalità significa per il ricercatore aver trovato
l’Aspetto Santificato della sua doppia natura, poi, con sforzi tenaci e
ripetuti, essersi definitivamente immerso in lui.
In altre parole, deve guadagnarsi il diritto di unirsi
all’Infinito; è in questo che bisogna comprendere l’immortalità. E’ la ragione
per la quale non smetto di insistere sul fatto che per ogni persona avviata ad
una via spirituale si tratta, in realtà, di una questione di vita o di morte!
D.
Voi parlate di sforzi,
ma lo zen dice che bisogna semplicemente lasciar andare.
R.
Ma precisamente bisogna
fare degli sforzi per lasciar andare! L’essere umano è tanto identificato a
tutto ciò che lo preoccupa di solito che gli occorre fare duri sforzi per
rinunciarvi!
D. Si parla sempre
dell’ego come ostacolo principale, potete parlarne?
R. Senza mai averne
coscienza, ciascuno ha un’immagine di se stesso alla quale non vuole rinunciare
e che gli chiude la porta alla sua evoluzione a un altro piano d’essere.
Quell’immagine è strettamente legata all’amor proprio. Se si ferisce l’amor
proprio, allora nessuno passa il tempo a leccare la sua ferita come un cane, o
a ruminare sulla ferita ricevuta dal suo ego. Nella sua cecità non può vedere
l’autoconsiderazione che lo abita e che non permette nessuna pratica
spirituale.
Così, se domandassi a
uno di voi se accetterebbe di diventare, per magia, il vostro vicino, prendere
il suo viso, il suo corpo e la sua psiche, quale sarà la sua risposta? Anche se
è insoddisfatto di se stesso, non cambierebbe
con nessun altro. Senza realizzarlo si è innamorati di se stessi. Si
tratta di un problema di tutti gli esseri umani.
Il sintomo significativo dell’amor proprio, è voler essere
speciali. Nell’induismo è detto che bisogna diventare “selfless”, senza ego. Ci
si vuole liberare, ma liberarsi da che cosa? E’ da se stessi che bisogna
liberarsi, solo così si può trovare l’Assoluto che ci abita.
L’idea, cosciente o inconscia, che si è qualcosa di speciale
deve essere distrutta, se si vuole un giorno entrare in un luogo santificato in
se stessi.
Per strada si vede qualcuno passeggiare fiero del suo
cappello, della pettinatura, del cane, dei vestiti, della macchina, ecc. Senza
realizzarlo, in quella fierezza quella persona si sta riducendo a un cappello,
a un cane, a un macchina, ecc.
D.
Non parlate mai
dell’anima?
R.
Non smetto mai di
parlare di quella, ma, per evitare incomprensioni, uso un termine diverso, dico
l’Aspetto Divino della doppia natura dell’essere umano. Che differenza fa?
D.
A volte mi sento
disperato per non arrivare ad essere concentrato.
R.
Si soffre perché non si
arriva ad essere concentrati nella meditazione, ma in verità non si soffre
veramente; la vera sofferenza spirituale brucia. Si vede che non è niente e si
vuole ardentemente cambiare.
Mi si dice: “Faccio sforzi tutto il giorno nella vita, dalla
mattina alla sera, e, quando voglio fare uno sforzo spirituale, non ci
riesco.”. Non si vede che gli sforzi che si fanno nella vita esteriore sono
meccanici ; niente è fatto consciamente con un’intenzione deliberata. Dietro
gli sforzi fatti nella vita c’è una passività soggiacente. Se fosse possibile,
si preferirebbe non farli. Nella natura umana c’è una tendenza all’inerzia.
Senza realizzarlo, si trasporta questa tendenza nelle pratiche spirituali che
si tenta di fare.
La nostra vita non si svolge che per una reazione meccanica
a diversi stimoli e non se ne è mai coscienti.
Per esempio, un candidato all’elezione presidenziale, che va
dappertutto, che fa discorsi, che stringe le mani, ecc. fa degli sforzi, ma
sono carpiti da lui; infatti, non li fa che per sete di potere. Gli sforzi
spirituali devono essere di tutt’altra natura. Non li si fa per una richiesta
esteriore, ma perché si vogliono fare, come accade a grandi compositori di
musica o a certi grandi pittori, che lavorano perché sentono un ardente bisogno
di fare gli sforzi necessari per dare nascita a ciò che portano in loro. E’ il
caso, tra gli altri, di Mahler, di Respighi, di Michelangelo, di Rembrant.
Bisogna utilizzare dei mezzi come supporti. Per esempio,
nello stesso svolgersi delle attività quotidiane, bisogna inspirare, trattenere
un istante la respirazione cercando di essere nel presente, cosciente di sé
prima di espirare. Questo va inevitabilmente indebolendosi poco a poco. Bisogna
rinnovarlo; l’aspirante deve sempre ricominciare.
Quando si è persi bisogna dirsi: “Riprenditi”; bisogna dirlo
e non solo pensarlo, se no non lo si fa. Bisogna anche dirsi: “Distenditi” e
obbedire.
Non si ha il diritto di domandare ricchezze, la
soddisfazione dei desideri o altre cose, ma si ha il diritto di chiedere la
forza, la forza per ritornare al presente e rimanerci. E la forza ci sarà data.